mercoledì, Aprile 30, 2025

Nuovi meccanismi di vendita nel retail

Ci sono dei meccanismi di vendita, quasi nuovi, che devono rientrare nell’agenda dell’imprenditore che lavora nel retail ma anche nell’ufficio marketing del fornitore. Per vincere in due.

Quando si parla di “nuovo” bisogna intendere: per chi? Potrebbe essere per un mercato, per uno specifico punto vendita, per un consumatore. Comun­que sia diventa importante, per ognuno di noi, fare un check per sapere se ci sono delle po­tenziali aree di innovazione e miglioramento. Tante cose che sembrano nuove poi nuove non sono ma non sono state messe a fuoco, non sono state applicate sistematicamente e con un metodo che ne misuri le performance e re­stano ignorate. Quindi nessuno “sciroppo” mi­racoloso, che tutto risolve, del tipo “venghino signori venghino…”, piuttosto la presa in carico di accorgimenti che possono migliorare le ven­dite ma anche il piacere della spesa, visto che i due aspetti sono spesso collegati e importanti in chiave di fidelizzazione.

L’effetto alone

Forse più noto come “halo effect”, l’effetto alone è un termine che indica il favore dei con­sumatori verso una linea di prodotti grazie alle esperienze positive con altri articoli dello stesso produttore. In altri termini, se acquisto spa­ghetti di marca XY è probabile che mi affidi a XY anche per altri prodotti. L’effetto alone è correlato alla forza del marchio, alla fedeltà al marchio e contribuisce alla brand equity, ossia al valore che un marchio è riuscito a creare sia in termini qualitativi sia in termi­ni quantitativi, in base ai comportamenti dei consumatori, al mercato in cui viene distribu­ito e all’atteggiamento di tutti i canali di co­municazione. È noto a tutti che se un’azienda con una insegna importante, ma vale anche per una indipendente, si presenta con un negozio fisico ben curato ed efficiente, può migliorare la percezione generale dell’insegna stessa an­che nei suoi canali online, e viceversa.

Se prendiamo per esempio un prodotto iconico, come l’Iphone per Apple, notiamo che, poiché è molto apprezzato, i clienti tendono a valutare positivamente anche altri prodotti del marchio, pur non avendoli mai provati. Possiamo poi tro­vare altri esempi pratici nel retail:

1. Apple Store, dove l’esperienza premium nei negozi fisici migliora la percezione dell’intero “ecosistema” Apple, spingendo le vendite di pro­dotti complementari.

2. Zara, che per la qualità percepita nei punti vendita fisici può rendere i clienti più inclini ad acquistare online senza toccare i prodotti.

3. Amazon, dove un eccellente servizio clienti e la rapidità delle spedizioni migliorano la per­cezione di fiducia verso tutti i prodotti venduti sulla piattaforma.

L’halo effect è quindi un potente strumento per i retailer: se un elemento dell’esperienza cliente è eccezionale, può elevare l’intera percezione dell’insegna e spingere le vendite su più canali e prodotti. Una sorta di trascinatore. Lo stesso vale per la fiducia posta nei marchi presenti nell’area di vendita. Avere un marchio noto e importante presuppone che si referenzi tutta la linea o almeno una parte rilevante proprio per­ché la soddisfazione riposta in un prodotto può essere trasferita a un altro prodotto dello stes­so marchio. Se si tratta di un marchio premium questo implica un beneficio nello stimolare l’aumento di spesa portandola verso una fascia più alta. Resta il fatto che una scala dei prezzi corretta (alta, media e bassa per ogni categoria) deve restare un principio da non abbandonare.

Il trasferimento della domanda

Un secondo meccanismo applicabile nei punti vendita è noto come “trasferimento della doman­da” e avviene quando l’interesse per un prodotto si sposta verso un altro in base alla sua disponibilità o all’introduzione di una novità. Prendiamo l’esem­pio di un fertilizzante: se un cliente non trova il suo prodotto preferito per le piante verdi, po­trebbe optare per un altro tipo della stessa mar­ca o scegliere un concime per piante verdi di un marchio diverso. La scelta dipende dalle sue preferenze, che possono essere legate sia all’ef­ficacia del prodotto sia alla fedeltà al marchio.

È un fenomeno comune, soprattutto quando un articolo va fuori stock o viene lanciato un nuovo prodotto simile. In questi casi, i clienti tendo­no a scegliere un’alternativa che soddisfi il loro bisogno, creando un effetto domino: spostano la loro domanda. Un altro caso particolare di trasferimento della domanda è la cannibalizza­zione, che si verifica quando un nuovo prodotto riduce le vendite di un altro già esistente, so­prattutto se appartiene alla stessa linea o è un succedaneo con un prezzo più conveniente. E qui conviene fare attenzione, dati alla mano, alla profondità di gamma, ossia all’eccesso di varian­ti prodotto che generano vendite con un volume unitario basso: una gamma che disperde la do­manda su un eccesso di varianti prodotto. Per esempio, se viene lanciata una nuova gamma di vasi più economici, si potrebbe notare un calo nelle vendite delle linee premium. Questo fenomeno non è necessariamente negativo, ma deve essere gestito con attenzione per evitare un impatto sfavorevole sui margini.

Nuovi meccanismi di vendita: una valutazione sul campo

Lo spazio della superficie di vendita (sovente eccessivo) è un fattore limitato che richiede, in fase di definizione dell’assortimento, che venga ottimizzato lo spazio disponibile. Limitarsi al mero riempimento è controproducente. Que­sto esercizio richiede dati e una strategia. Si vedono troppi scaffali con una segmentazione di gamma incomprensibile per varianti di mar­chio e prezzo, che si sovrappongono e spesso sovradimensionati come spazio a terra. Questi temi implicano una serie di accorgimenti pra­tici da adottare, proprio in fase di definizione o aggiornamento della gamma:

1. Migliorare la circolazione e la sequenza delle aree: il layout del punto vendita deve avere una logica che sia coerente con l’identità dell’in­segna e che rispecchi, settore per settore, il percorso di acquisto pianificato o immaginato dal cliente.

2. Associare prodotti fra loro collegati: gestire le associazioni di prodotti e le sequenze di con­sumo migliora la comprensione della gamma e la cultura di prodotto, stimolando acquisti incrementali. Ricordatevi del sopra citato ef­fetto halo.

3. Usare i dati: riguardo ai numeri, il primo ac­corgimento consiste nell’evitare le rotture di stock, limitando i costi finanziari del magaz­zino e quelli della logistica. Quindi si deve di­sporre di un’analisi vendite monitorando anche l’evoluzione della domanda per anticipare gli stili di consumo emergenti.

4. Organizzare gli scaffali: seguendo il percorso decisionale dei clienti, che significa struttu­rare l’esposizione dei prodotti in modo logico e intuitivo, facilitando la scelta d’acquisto. Si parte dal marchio, poi le varianti in gamma e quindi per formato (piccolo, medio o grande).

Di norma lo schema suggerito semplifica la scelta del prodotto. Va inoltre preso in esame il fatto che una lettura difficile dell’offerta incre­menta il rischio di abbandono per la mancanza o per la difficile individuazione di una opzione alter­nativa. Si tratta di due concetti da sfruttare per diventare più elastici, anticipare la domanda potenziale del cliente e aumentare l’efficacia nel convertire acquisti.

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