La visione del garden center in Italia oggi: 6 spunti per lo sviluppo

Paolo Montagnini analizza criticità e opportunità nel percorso di crescita di un garden center in Italia nel 2023, individuando 6 spunti principali per lo sviluppo.

Jean-Luc Godard ha scritto che “l’importan­te non è da dove prendi le cose, ma dove le porti”. Que­sto concetto dovrebbe essere alla base dello spirito imprenditoriale, in cui una persona, confrontandosi con il mercato e dotata di perse­veranza, esercita la propria volon­tà di progredire, di esplorare, di ricercare nuovi metodi e vie per far crescere la propria azienda. Un percorso vero e proprio.

Un paio di anni fa il sociologo Luca Ricolfi, nella premessa del libro “La società signorile di massa” esprime questa ipotesi: se un marziano sbar­casse in Italia e iniziasse a informar­si dalle fonti disponibili (radio, gior­nali, tv, internet, ecc.), che quadro trarrebbe della situazione del nostro paese? Ebbene, prendendo in presti­to l’idea, ci siamo calati nei panni di un marziano che volesse aprire un garden center in Italia, cercando di individuare ed elencare i passaggi necessari per immaginare un per­corso di crescita.

Una valutazione oggettiva e super partes per iniziare a stendere una mappa del percorso probabile: con­dizione per iniziare a pesare le op­portunità e gli eventuali punti critici.

Un lavoro certosino, poiché gli oriz­zonti di un garden center sono ampi e implicano molti aspetti. La raccol­ta di informazioni “da fonti disponi­bili” ci ha portato a esaminare le normative (nazionali, regionali, am­ministrative, urbanistiche e fiscali), ad ascoltare gli stessi imprenditori e i fornitori di questo canale, ad ap­profondire le tendenze del mercato e le dinamiche evolutive e ad analiz­zare i canali concorrenti.

Dall’analisi sono quindi emersi 6 punti salienti, quelli che il nostro marziano, entrando nel settore dei garden center in Italia, dovrebbe prima o poi affrontare e che rappresentano a volte delle opportunità oppure delle possibili minacce: in ogni caso un ostacolo da superare.

Senza entrare nello specifico delle singole norme, ci siamo focalizzati sui concetti e sugli aspetti quali­tativi, sulle emergenze in grado di descrivere la fenomenologia delle situazioni del mercato. Dall’analisi “aliena” sono emersi questi punti:

1. Gli aspetti urbanistici: agricolo vs. commerciale.

2. La struttura e la normativa com­merciale.

3. I pagamenti elettronici.

4. La vendita dei prodotti biologici.

5. L’ecosostenibilità.

6. L’e-commerce.

1. Agricolo o commerciale?

Se un marziano arrivasse in Italia, sarebbe orientato a comprendere le priorità normative per poi via via af­frontare i diversi temi pertinenti con la realizzazione di un moderno punto vendita: dimensione, struttura, orga­nizzazione e tipologia dell’offerta.

Girando per punti vendita e parlando con gli operatori, il marziano rileve­rebbe, prendendo in esame l’esisten­te, un primo aspetto: in molti casi il punto vendita come lo vediamo si è via via trasformato, diventando ne­gli anni qualcosa di diverso, molto diverso, dal progetto originale, con un’immediata conseguenza. Se oggi, partendo dalla nuda terra, volessimo creare ex novo un garden center nella sua forma attuale, nell’ 80% dei casi non sarebbe possibile ottenere le au­torizzazioni necessarie.

Il principio di base è che urbanistica­mente non potrebbe sussistere un’a­zione commerciale su terreno agrico­lo e viceversa. Nei fatti si incrociano una serie di situazioni: aziende agri­cole perfettamente a norma, azien­de agricole con un fatturato com­merciale superiore al consentito, aziende agricole e commerciali che convivono promiscuamente, aziende commerciali perfettamente a norma.

Quello che, spostandosi da nord a sud e da est a ovest, il marziano ha compreso, è che normative regiona­li, interpretazioni comunali, tolleran­za da parte delle amministrazioni e non conoscenza della materia hanno generato una situazione complessa, ricca di distinguo e difficile da distri­care. Ciò che teme di più chi viene da altri pianeti, però, è il rischio che prima o poi qualcuno inizi ad analiz­zare la coerenza fra l’attività e la de­stinazione urbanistica. Avendo come obiettivo la salvaguardia dell’investi­mento e dell’identità aziendale.

2. La struttura e la normati­va commerciale

Un marziano noterebbe anche una certa opacità sul ruolo dei dipen­denti dei garden center in Italia: quando convivono due azien­de distinte in una medesima struttu­ra, una agricola e una commerciale, chi sta in cassa è agricolo o com­merciale? O ci sono casse distinte? Il mix è inevitabile.

Entrando nel dettaglio delle varian­ti urbanistiche e degli adeguamenti (copertura di sicurezza, uscite di si­curezza, antincendio e carico neve, layout della circolazione primaria, de­finizione del carico d’incendio, ecc.) il marziano si arrenderebbe di fronte alla mancanza di coerenza e alle tan­te differenze locali e personali. Per esempio con concorrenti vicini che adempiono a normative antincendio differenti. Un imprenditore che vie­ne da un altro mondo non vorrebbe convivere con queste incertezze che aumentano il rischio imprenditoriale.

Un’altra domanda difficile del marzia­no: “a parità di costi operativi e inve­stimenti, quanto è avvantaggiata l’a­zienda agricola, notoriamente meno sottoposta al prelievo fiscale?”. È un tema che meriterebbe un simposio tra commercialisti e associazioni di categoria. Ci sono aziende commer­ciali che vanno molto bene con un bilancio a reddito d’impresa, con un necessario controllo di margini e stock (più stock si possiede più salgono le tasse), ma prosperano: quindi come si quantifica il vantaggio agricolo? Forse sul fatto che il terre­no agricolo costa meno, c’è meno tassazione sull’investimento, non ci sono oneri di urbanizzazione, il costo del personale è meno oneroso, ecc.

A rendere ulteriormente complicata la materia c’è la presenza delle Re­gioni cui fa capo l’agricoltura. Con situazioni differenti e inspiegabi­li diversità nei comuni al confine tra due regioni. In alcune regioni il fatto di vendere piante non garanti­sce alcuna giustificazione agricola: è necessario mantenere una filiera agricola (quindi un punto vendita che produce) affinché sussistano i presupposti per avere lo status agri­colo. Per alcune Regioni “bagnare” non è produrre, ma la questione è controversa e non mancano inter­pretazioni opposte.

A una attività agricola, attraverso una variante urbanistica e opportu­ni interventi strutturali, se ne può affiancare una commerciale. Diver­si punti vendita operano in questo modo e sono quasi completamente regolari, forse solo il personale è poco “definibile”.

3. Pagamenti elettronici

Se il marziano in visita ai centri giar­dinaggio italiani pagasse con uno strumento elettronico si troverebbe di fronte a tre situazioni differenti: un unico scontrino, due scontrini di differenti soggetti giuridici con il sal­do in un unico pagamento, fino a due scontrini con due pagamenti.

Il fenomeno del doppio scontri­no è dovuto alla compresenza nel carrello di piante (agricole) e altri prodotti (commerciali), gestiti da due soggetti giuridici diversi. Pur generando l’allungamento dei tempi di gestione del pagamento alla cas­sa, è bene distinguere anche i paga­menti delle due imprese per evitare inconvenienti determinati dalla non coerenza fra la trasmissione dei dati e quella degli incassi con moneta elettronica. La normativa fiscale im­pone la trasmissione telematica dei corrispettivi all’Agenzia delle Entrate e nel caso del doppio scontrino con un singolo pagamento si potrebbero generare incoerenze.

Adottando un conto transitorio si può compensare, ma non è chiaro dove porti l’adozione di questo mo­dello, con visioni contrastanti an­che da parte dei fiscalisti. Esiste anche una terza via. Se opera una sola impresa commerciale, che ge­stisce tutta la superficie di vendita, diventa possibile, attraverso un con­tratto estimatorio, consentire a una azienda agricola di disporre in conto vendita le piante, prodotte o meno, nell’area di vendita. Ogni articolo sarà comunque codificato e a ogni movimento di cassa per la vendita di piante nascerà un credito dell’azien­da agricola verso la commerciale. Il listino di vendita va concordato e sul totale di vendite l’azienda agricola in­casserà l’importo delle piante al net­to dello sconto concesso all’azienda commerciale, valore che rappresen­terà il suo margine. Lo sconto deve avere una sua congruità, diciamo che il 15% non rappresenterebbe un valore adeguato.

Implicito il fatto che questa terza via si scontri con la normativa urbanisti­ca secondo cui un’azienda commer­ciale può (potrebbe) operare solo su terreno commerciale, e viceversa. E quindi si riparte dal via.

Parlando di soldi è emerso il proble­ma della sostenibilità degli investi­menti. In particolare la difficoltà di accedere al credito prendendo in esame i criteri di valutazione della posizione patrimoniale e reddituale dell’azienda.

La gestione finanziaria è un tema complicato ma in ogni caso, quello che in estrema sintesi è stato con­sigliato al marziano è di considerare un semplice indicatore che mostra l’utile di un’impresa prima che ven­gano sottratti tasse, interessi, sva­lutazioni e ammortamenti. Questo indicatore deve essere almeno pari al 10-15% del volume d’affari poi­ché è un valore fondamentale che concorre alla costruzione del rating aziendale, quel parametro che indica l’affidabilità finanziaria di un’azienda e la sua solvibilità. In pratica se l’uti­le prima delle tasse e degli ammor­tamenti pesa il 5% sui ricavi si resta a bocca asciutta.

4. La vendita dei prodotti biologici

A parte i problemi di natura urbanisti­ca, amministrativa e fiscale, ci sono anche molte opportunità. Pensiamo all’offerta dei prodotti Bio.

Il garden center è per definizione un “negozio naturale” e potrebbe am­bire a diventare il primo punto di ri­ferimento per le giovani generazioni e per le tante famiglie che coltivano un orto domestico. La pandemia ha avvicinato molte famiglie a questa pratica e c’è una nuova domanda, spesso neofita, da soddisfare.

In quest’ottica è strana la mancan­za di una proposta di piante certifi­cate Bio per il consumo fresco, in particolare le aromatiche. Il cliente che acquista una pianta di rosmari­no facilmente lo userà nel prossimo arrosto senza pensare ai tempi di carenza. Secondo Federbio ben 4,5 milioni di famiglie (il 18% del totale) consumano abitualmente prodotti da agricoltura biologica (dati 2022) con una crescita del 17% in un solo anno, e ben 3,4 milioni di famiglie li consumano saltuariamente (+11% rispetto al 2021). Quindi una do­manda c’è e lasciarla ai generalisti sarebbe un errore.

Abbiamo anche interessanti esempi in Europa. Seidemann Blumen Park di Innsbruck è il primo vivaio di pian­te biologiche in Austria. Offre una gamma di fiori, aromatiche e verdure tutte rigorosamente con marchi bio­logici di garanzia. La qualità di Seide­mann permette di acquistare piante al 100% prive di sostanze chimiche e pesticidi, prodotte secondo le linee guida del marchio Bio-Austria e del certificato biologico della Ue. I fiori sono coltivati in vasi biodegradabili e trapiantabili. Ovviamente costano di più ma il mercato sta risponden­do bene. Serve coraggio e iniziare a smitizzare alcune false convinzioni: il valore del Bio ha una sua rilevanza e non è vero che è più bravo chi ven­de al prezzo più basso.

Un punto di riferimento deve però trattare i prodotti nel corso di tutto l’anno e non solo occasionalmente. Trovare una pianta di basilico biolo­gico in un garden center a dicembre non è semplice, mentre potremmo trovarla in un supermercato. La de­stagionalizzazione di ciò che potreb­be essere un prodotto continuativo, come il basilico, è ancora agli albori.

5. L’ecosostenibilità

Attenzione però al greenwashing e alle operazioni solo di marketing: fate “politica” e vi esponete anche quando selezionate i fornitori. Un prodotto biologico che attraversa il pianeta per arrivare al nostro nego­zio non è un ecosostenibile e la sua carbon footprint non aiuta l’ambien­te anche se è Bio.

Chi indirettamente promuove una cultura della pianta e dell’ambiente, chi vende “verde”, dovrebbe avere un forte orientamento a comporta­menti ecosostenibili. Ma l’adozione di proposte eco è talvolta poco evi­dente per chi visita il punto vendita.

Il packaging della pianta abbonda di pellicole e carte non ecologi­che. I contenitori (vasi e fioriere) in genere sono di plastica con solo una minima parte realizzata con materie prime riciclate. Non si cambiano con uno schiocco di dita l’offerta e le abitudini dei fornito­ri. Ma sarebbe sufficiente stilare un cronogramma, fatto di tappe e obiettivi da raggiungere, con l’in­tento di migliorare la sostenibilità dell’offerta.

L’ecosostenibilità dovrebbe anche interessare l’uso dell’acqua. I mo­derni sistemi d’irrigazione permet­tono lo sviluppo di un orto con una gestione efficiente delle risorse idri­che: eppure l’irrigazione è spesso una Cenerentola nell’offerta globale dei centri giardinaggio.

I sistemi per il recupero dell’acqua piovana gioverebbero molto al pia­neta e al giardino. Anche se oggi la sensibilità dei clienti non è alta, il ruolo dei negozi specializzati è an­che quello di promuovere la cultu­ra dell’evoluzione tecnologica. Far crescere questa cultura nei nostri clienti è in ogni caso un’importante opportunità.

La catena di garden center inglese Dobbies dichiara nel proprio sito la propria “sustainability policy”: una serie di impegni, già raggiunti e fu­turi, per migliorare la sostenibilità dei punti vendita e dei prodotti in offerta. Un programma che tocca un po’ tutti gli ambiti del centro giardinaggio: la torba, i vasi di col­tivazione e la loro raccolta diffe­renziata, il legno certificato Fsc, la riduzione delle plastiche monouso, l’aumento di piante nazionali, la rac­colta dell’acqua piovana e il riciclo, la difesa biologica sia nelle serre di produzione sia nei prodotti in offer­ta, gli shopper riciclabili e riusabili, fino all’influenza verso i fornitori.

Groupe Adeo sta testando, per ora solo nei negozi Leroy Merlin francesi, il marchio Home Index che informa i consumatori finali sulla sostenibilità dei singoli prodotti con l’obiettivo di promuovere le aziende virtuose.

Anche il progetto Garden Top-Tunia promosso da Aicg e Gruppo Padana è un buon esempio in questa direzio­ne: piante coltivate in Italia in vasi riciclabili.

6. L’e-commerce

La società digitale è fluida e la nasci­ta del processo d’acquisto coinvolge e spesso viene influenzata da molti canali: social, ricerche online, pub­blicità e naturalmente anche i pun­ti vendita. I più esposti al rischio di essere usati solo come una vetrina, utile per toccare con mano il prodot­to e avere un’assistenza, per poi ef­fettuare l’acquisto online.

Oggi, con lo sviluppo delle tecnologie digitali e dei marketplace internaziona­li, ormai tutti vendono tutto e il concet­to di “filiera” rischia di essere messo in discussione. Rivenditori, grossisti e anche produttori devono adottare strategie chiare nei confronti della vendita dei prodotti online.

Non è giusto pretendere che le in­dustrie evitino di aprire degli e-shop “diretti”: è un loro diritto poter di­stribuire i propri prodotti anche nelle zone in cui mancano “negozi fisici”. Se non vendo in Sicilia, perché dovrei privare i consumatori dell’isola dei miei prodotti? È importante piuttosto una chiara politica di prezzo e che magari l’e-commerce B2C rappresen­ti l’ultimo gradino di un avvicinamen­to alle vendite online. Preceduto da altre azioni, come un e-commerce B2B per permettere ai rivenditori di consultare l’offerta e acquistare direttamente online, magari con la possibilità di tracciare la spedizione, oppure la creazione di uno Store su Amazon per promuovere e semplifi­care la vita ai “rivenditori fisici” che già vendono i prodotti dell’azienda sul marketplace.

Articoli correlati

- Sponsor -
- Sponsor -
- Sponsor -
- Sponsor -