Il futuro dei garden retailer secondo John Stanley e Sid Raisch

futuro dei garden retailer

Quale sarà il futuro dei garden retailer? Un anno dopo aver co-fondato Global Garden Retail Conference nel 2022, Sid Raisch, consulente americano e l’australiano John Stanley, consulente internazionale, hanno fatto un punto sul futuro del garden center.

Mentre gli anni carat­terizzati dal Covid del 2020 e del 2021 sem­brano essere ormai un lontano passato, la sfida ora è capire cosa ci riserva il futuro. Nonostante sia difficile prevedere le tendenze in un mercato che cambia molto rapida­mente, i consulenti ed esperti inter­nazionali del settore John Stanley e Sid Raisch hanno cercato di deline­are quali possano essere gli aspetti vincenti di un punto vendita dedica­to al verde nei prossimi anni.

futuro dei garden retailer
Da sinistra: John Stanley e Sid Raisch, consulenti ed esperti internazionali di centri giardinaggio.

“Il futuro dei garden retailer che si sapranno discostare dalla media sarà brillante”

Iniziamo con questa dichiarazione audace, in modo che i lettori siano adeguatamente preparati per l’av­ventura che li attende. È tempo di aprire un vero dialogo e di preparar­ci a un’evoluzione profonda, poiché il consumatore è un “animale” di­verso rispetto a solo 3 anni fa, e lo sta diventando ancora più rapi­damente nel modo in cui acquista prodotti ed esperienze. Dobbiamo riconoscere questi cambiamenti per accompagnarlo nel suo viaggio.

La catena delle comunicazioni

L’industria del verde è sempre sta­ta caratterizzata da una lunga filiera che inizia con l’ibridatore/produtto­re, che vende le piante a un vivaio, per poi passare eventualmente da un grossista, infine a un garden cen­ter e da qui al consumatore finale. La catena può quindi arrivare a con­tare più di quattro organizzazioni, lungo le quali il coltivatore originale può finire per “perdersi”.

Questo non vale solo per il florovi­vaismo: l’agricoltura aveva la stes­sa lunga catena, ma negli anni ha fatto grandi passi avanti e ora, nei punti vendita più sensibili al tema, l’agricoltore viene messo in primo piano, con il risultato che il rivendi­tore è spesso diventato solo il suo “narratore”, con il compito di infor­mare i consumatori sulle origini del cibo che comprano.

Lo stesso dovrebbe valere per il settore vivaistico. Dovremmo pro­muovere i coltivatori e raccontare la loro storia. Questo accade oc­casionalmente, ma è una grande opportunità per i retailer di essere visti come un partner dai produt­tori locali.

I vivaisti possono salvare il pianeta

Un’altra affermazione audace! La maggior parte dei governi mira a raggiungere il traguardo di zero emis­sioni entro il 2030 e quello di dimez­zarle entro il 2025. Pertanto questo decennio è fondamentale per rag­giungere questi obiettivi e nel Regno Unito ritengono che i vivai siano fondamentali in questo proces­so. Il piano è quello di piantare l’equivalente di 30.000 ettari di bosco all’anno fino al 2050 e a questo scopo il governo inglese ha istituito il Tree Production Innovation Fund.

I vivaisti stanno attraversando un periodo di boom e, giocan­dosi bene le proprie carte, po­trebbero essere figure leader nel cambiamento climatico. Questa è anche un’opportu­nità di marketing per il nostro settore e gli alberi potrebbero rappresentare, come trend, il prossimo equivalente delle piante da interno. Se c’è una sfida per quesiti coltivatori, è ottenere manodopera. Noi so­spettiamo che la maggior parte delle aziende abbia bisogno di un altro 20% di lavoratori, ma come trovarli? Alcuni verranno sostituiti dall’automazione, al­cuni razionalizzando le risorse, altri pagando salari più alti.

La sostenibilità è la rispo­sta. Qual è la domanda?

Se vogliamo essere davvero l’industria “verde” del futuro, dobbiamo mettere in atto cam­biamenti veramente rilevanti e non adottare solo pratiche di greenwashing, di facciata. Il nostro settore, come tutti, con­tribuisce direttamente all’inqui­namento ambientale con i suoi rifiuti. Abilmente camuffati da “imballaggio” alcuni packaging secondari, magari nati solo per promuovere un brand, diventa­no inevitabilmente un fardello da smaltire per il consumatore.

Come possiamo difenderci dalle po­lemiche che potrebbero sorgere su questo tema?

Dobbiamo diventare un’industria plastic free, in cui i vasi realizzati in questo materiale, monouso o non rici­clabili, rimangano un ricordo del pas­sato. Esistono già aziende che produ­cono vasi partendo da lana di pecora, rifiuti marittimi e tutoli di mais, senza contare il ritorno ai vasi di terracotta.

L’altra sfida è rappresentata da ciò in cui spesso coltiviamo le piante. “Torba” è diventata una parolaccia nel Regno Unito e negli Stati Uniti, e lo stesso vale per il pacciame di le­gno delle foreste native in Australia. Le alternative per i substrati fuori suolo devono essere trovate e tro­vate rapidamente. Le aziende stan­no studiando lolla di riso, materiali a base di cocco, argilla espansa, bentonite (argilla naturale), perlite, corteccia e lignite tra gli altri prodot­ti come substrato per la coltivazione delle piante.

Molte di queste soluzioni sono con­cettualmente sostenibili, ma come la mettiamo con il trasporto e la conseguente impronta di carbonio?

Una cosa comunque è chiara: il vi­vaio subirà alcuni importanti cam­biamenti nei prossimi anni. Tra le sfide principali ci sarà quella di tenere il passo con l’inflazione per garantire il mantenimento dei margini di profitto, a differenza di quanto successo in passato.

Qual è la risposta all’inflazione? Dobbiamo sfruttare il nuovo livello di valore percepito dei prodotti del nostro settore e aumentarne i prez­zi per far quadrare i conti. I costi di produzione salgono e non possono essere compressi più di tanto. La ri­sposta è aumentare i salari, i profit­ti dei coltivatori e i prezzi allo stes­so tempo. Dobbiamo però iniziare a prestare maggiore attenzione al modo in cui creiamo un prodotto percepito di maggior valore dal con­sumatore. A quel punto dobbiamo essere disposti a farlo pagare ab­bastanza per sostenere un modello di business sano, costruendo così il nostro ponte verso il futuro dei garden retailer.

E il cliente?

La generazione X conta circa 65 mi­lioni di persone, mentre i baby boo­mer e i millennial (gen Y) sono circa 72 milioni ciascuno, con una progres­siva naturale diminuzione dei baby boomer nei prossimi anni. Le nuove generazioni pretendono un approccio diverso dal nostro settore, sia in ter­mini di filiera e prodotti sia in termini di opportunità di impiego.

Durante il Covid, i consumatori sono stati rinchiusi in isolamento e, nel disperato tentativo di evadere e di ti­rarsi su di morale, hanno acquistato molte piante online. Ora che sono li­beri di uscire, stanno cercando espe­rienze che si allineino con le loro convinzioni personali. Paradossal­mente viaggiano meno all’estero e riteniamo che questa tendenza non cambierà rapidamente a causa dello scarso potere di acquisto, del prezzo delle tariffe aeree e dei timori per la propria sicurezza.

I giovani consumatori vogliono passa­re il tempo con i loro coetanei, ma han­no anche il desiderio di evadere dalla città, per cui spesso sono alla ricerca di fughe dalla città in gruppo e i centri giardinaggio che sanno proporre un’e­sperienza soddisfacente potrebbero trarre vantaggio da questa tendenza.

Mentre durante il Covid l’acquisto online di piante spedite da chissà dove è cresciuto rapidamente, ora ha subìto un calo e sarà interessan­te vedere se l’impronta di carbonio legata a questo tipo di ordini sarà un deterrente. Probabilmente i gio­vani green lovers continueranno ad acquistare piante online con l’opzio­ne del ritiro in loco, incentivati dal piacere del “pellegrinaggio” per rag­giungere anche i garden più lontani.

La chiave di lettura del processo in atto è che il consumatore è alla ricerca di un’esperienza piuttosto che solamente di un prodotto, il quale diventa il “trofeo” che coro­na l’esperienza.

Il garden center di domani

Negli ultimi decenni abbiamo costrui­to centri di giardinaggio classici. Que­sto modello sarà difficile da costrui­re in futuro, principalmente a causa dei codici edilizi internazionali e dei regolamenti urbanistici, oltre che del costo e del tempo necessari per ave­re tutte le “carte in regola” prima di poter iniziare un progetto. I proprietari da qui in avanti dovranno reinvestire nei propri garden center per conferi­re loro un aspetto fresco, attrattivo. E qui il modello di negozio a cui sia­mo abituati diventerà impegnativo da sostenere: i centri giardinaggio di nuova costruzione probabilmente na­sceranno dall’adattamento di strut­ture precedentemente utilizzate per altri scopi, o dal restyling di garden e vivai già esistenti, in un’ottica più sostenibile rispetto alla costruzione di nuovi punti vendita da zero.

Ma si tratterà poi di veri e propri cen­tri di giardinaggio? I nuovi rivendito­ri dovranno concentrarsi sul proprio mercato di riferimento per reinventar­si. Uno dei migliori esempi in questo senso è Motorist vicino a Leeds, nel Regno Unito. È uno spazio polifunzio­nale diretto agli automobilisti e che vende anche ricambi auto, ma la cui chiave di svolta sono gli spazi e i ser­vizi costruiti intorno a questa attività, come il ristorante e l’esposizione “te­atrale” della merce. Questo modello di punto vendita è ideale per persona­lizzare il futuro garden center.

futuro dei garden retailer
Motorist di Leeds, Regno Unito

Uno dei fattori positivi del settore è la quantità di giovani che vi entrano e si concentrano sulla creazione di punti vendita di piante al dettaglio. Ciò aumenterà e contribuirà a man­tenere dinamico del settore.

Cosa cambierà?

I garden center del futuro avranno:

• Meno prodotti provenienti dall’Asia.

• Meno articoli da regalo, decor e ferramenta, che possono essere acquistati in altri tipi di negozi.

• Più scaffali di prodotti biologici per il giardinaggio, perché sempre più consumatori tendono a evita­re i pesticidi.

• Più servizi di ristorazione. Questa è una categoria in crescita del 20% in alcuni paesi. Sono parti­colarmente efficaci quelli con una bella vista sulla campagna o su un giardino. L’offerta alimentare può arrivare a rappresentare almeno il 20% delle entrate. Oltre ai format tradizionali, anche la soluzione dei food truck sembra funzionare.

• Aree dedicate alla vendita di prodotti alimentari locali, a km zero o quasi.

• Esposizioni di piante “romanticiz­zate” piuttosto che disposte a gri­glia e filari. Questo è uno dei punti principali: coinvolgere emozional­mente il cliente per incentivare ulteriormente l’acquisto di piante.

Ottimi esempi di negozi che hanno abbracciato queste tendenze nel Regno Unito sono Crimple nel nord del paese e Pughs Garden Village in Galles, che si concentrano sulle piante ma dispongono allo stesso tempo di una food hall e di un risto­rante. Propongono anche articoli da regalo, ma solamente prodotti da artigiani locali.

Negli Stati Uniti, Groovy Plants Ranch sta sviluppando un modello simile: ha ideato per esempio il Pot­ter’s Saloon, uno spazio per invasa­re le piante appena acquistate, con vasi in vendita e terriccio gratuito, e propone esposizioni temporanee di artigiani locali.

Sono finiti i giorni in cui i clienti par­tecipavano ai seminari su come po­tare da sé le rose e gli alberi da frut­to, piuttosto preferiscono imparare a costruire oggetti decorativi sviluppati intorno alle piante (come i kokeda­ma) o acquistarli direttamente (come avviene per esempio da Bemis Farm Nursery in Massachusetts).

Questioni di marketing

Sappiamo tutti che i social media sono la via da seguire, ma vogliamo veramente affidarci a Tiktok? Pare che dovremmo. John era scettico riguardo a questo mezzo. Ma è un dato di fatto che le piante vengono acquistate da persone sempre più giovani, che queste persone usano Tiktok e che questa tendenza diffi­cilmente si invertirà. L’utente medio di Tiktok trascorre 52 minuti al gior­no sull’app e compie 1 miliardo di attività mensili.

Groovy Plant Ranch è stato incorag­giato da Sid e dai componenti più giovani dello staff a promuovere il proprio punto vendita e soprattutto le piante su Tiktok. Ciò ha portato a raddoppiare rapidamente il busi­ness, in gran parte grazie a un nuovo pubblico di consumatori più giovani, disposti a percorrere anche lunghe distanze per raggiungere il punto vendita in quanto il viaggio per loro è una parte dell’esperienza di importanza equivalente agli acquisti che faranno in loco.

John ha fatto lo stesso presso la sua Chestnut Brae Farm in Australia, promuovendo la sua attività su Tik­tok attraverso la testimonianza di giovani viaggiatori di passaggio. Tiktok al momento ha un grande successo e sarebbe ora di passare a Planttok (hashtag per altro molto diffuso su questa piattaforma).

Booktok, abbreviazione di Book Tiktok, è per esempio una comunità di utenti su Tiktok appassionati di libri, che conta oltre 13 miliardi di utenti che si scambiano consigli di lettura. I venditori di libri più intraprendenti hanno saputo trarne vantaggio: cosa aspettano i retai­ler di giardinaggio?

Il futuro dei garden retailer

“Il futuro dei garden retailer che si sapranno discostare dalla media sarà brillante”. Ri­ecco l’audace affermazione che potrebbe aver attirato la vostra attenzione all’inizio di questo articolo: essere nella media non è una posizione appetibile per un futuro in cui i consumatori avranno sempre più libertà di scelta e maggiore consapevolezza.

Chi è restio al cambiamento avrà vita difficile e rinno­varsi nel nostro settore non è così complicato, bisogna solo saper prendere spunto da situazioni che normal­mente ignoriamo perché ci sono meno familiari.

Ilya Prigogine, vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1977, ha dichiarato: “Il modo per far fronte al futuro è crearlo”. Il futuro è ciò che renderemo nostro, purché siamo consapevoli di dove si rivolge lo sguardo del con­sumatore e ci sforziamo non solo di incontrarlo lì, ma di essere noi a invitarlo – in quanto garden retailer (non garden center) del futuro.

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